IL MARE SECCO Anna Giulia Caputi |
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Il mare è uno dei quattro primi elementi che hanno costituito la natura, la realtà oggettiva, e perciò rappresenta un archetipo significativo della creazione. In quanto tale, assume in sé l’ambiguità tipica degli archetipi che si esprime in positività o negatività. Quale grande massa vitale il mare è correlato psicologicamente al liquido amniotico, sostanza embrionale che parimenti può dare vita o produrre una ovulazione autodistruttiva. E come il mare si unisce al cielo laggiù sulla linea dell’orizzonte, così qui si fonde il personale con il collettivo, l’individuale con l’universale, il reale con lo spirituale. Ciò che sollecita la linea dell’orizzonte è la domanda sul mistero dell’esistenza, un interrogativo come quello legato al momento della nascita in cui c’è la possibilità di vita e di morte, di pieno e vuoto, del già conosciuto e dell’ignoto, del fermo e del divenire.
Il processo della nascita è un momento affascinante, è l’atto creativo per eccellenza; l’espulsione del proprio figlio è però accompagnata da mille emozioni: incredulità, meraviglia, insicurezza, gioia, tristezza, nostalgia di un qualcosa e percezione di essere soggetto e oggetto nel gioco eterno della Vita. La potenzialità negativa della natura si riflette proprio nel liquido amniotico qualora la gestazione sia vissuta con problematiche psicologiche molto forti. E’ facile costruire una metafora: come il mare diventa minaccioso e in alcuni punti va in secca, anche lo spazio fetale può non essere in condizioni di cullare e alimentare a sufficienza quel seme che ha preso vita. Così il liquido amniotico, quale fonte di vita e simbolicamente particella di mare, diventa burrascoso o secco. Le cause possono essere infinite e sono chiaramente legate al vissuto della donna quali immaturità personale, rapporto anaffettivo con la propria madre, egocentrismo psichico e fisico, insoddisfazione di coppia, un senso di morte interiore che distrugge tutto ciò che ha significato di vita, come nella depressione sadomasochista. Chi pagherà questa condizione è senza dubbio il nuovo nato perché la madre ha comunque già fatto la sua scelta, responsabilmente o irresponsabilmente, e perciò è su di lui ignaro che si scaricano gli effetti psicologici più disparati. Certo, rettifiche si possono comunque fare durante lo sviluppo, qualora madre e figlio abbiano la consapevolezza del proprio vissuto e la coscienza di elaborarlo.
Dare vita non è affatto semplice, non è un mero fatto biologico; è una metamorfosi perché dovrebbe rappresentare il raggiungimento della genitalità di cui parla Freud. Ma gli incastri psicologici dello sviluppo umano inficiano spesso tale evento. Dare vita è comunque un diminuire qualcosa della parte egoica del proprio Io per un atto creativo che impegnerà tutta la vita, perciò il momento della gestazione è significativo in quanto il suo substrato psichico decide a priori l’avvenire della madre e del nascituro, la cui relazione mutilante può coscientemente o inconsciamente condizionare lo sviluppo dei rapporti affettivi, eterosessuali e sociali. Molte, infatti, sono le madri che per tali meccanismi raffreddano gli slanci vitali dei propri figli, che si dichiarano deluse e sfruttate, che stringono i figli in una morsa di ricatto affettivo. Melaine Klein asserisce che l’angoscia di morte può essere percepita dal bambino fin dalla sua consistenza in feto perché si trova in balia di forze potenziali, sia in senso positivo che negativo. di colei che lo contiene. E’ la madre che comunque decide per lui la vita o la morte, questa è una situazione precaria per eccellenza: basta un attimo di crisi perché la vita stessa di quel feto sia esposta pericolosamente A volte nella terapia del profondo quell’angoscia legata e fissata ad un attimo distruttivo della propria madre emerge con tutta la sua irruenza. Il danno peggiore è rappresentato dalla paranoia, meccanismo psichico che non darà mai più respiro e che porrà a rischio la vita stessa di quell’individuo perché quel senso di persecuzione è nato con lui, vive in lui a ragione proprio dei primi segnali affettivi ricevuti. L’intimità negata diventa anaffettività nelle sue varie espressioni, quali idealizzazione, dipendenza estrema, ironia pietosa ma giustificante, psicosomatizzazione. affermazione onnipotente, ecc. L’altro genitore non è fuori da questa tematica perché comunque egli ha colluso con la figura materna rispetto alla genitorialità ed è perciò egualmente responsabile.
La dinamica della vita implica sempre la relazione con l’Altro: l’Altro rappresenta il proprio Sé e l’esterno. La difficoltà nell’entrare in comunicazione è quindi il vissuto di distanza tra l’Io e il Sé, quella distanza necessaria per non sentire la propria dissonanza o non dare nuovamente ad un’altra persona quel potere di vita o di morte, perché amare è comunque un esporsi al rischio.
Si è fissata infatti un’immagine interiore non più tanto legata alla figura materna quanto ad un valore archetipico dell’inconscio collettivo rispetto al femminile. Spesso infatti in terapia alcuni pazienti manifestano un tormento o un istinto di morte che va al di là del vissuto reale cosciente, producendo oniricamente simboli archetipici che riportano alla Grande Madre. Con il suo significato contenitivo anche il mare rappresenta la Grande Madre, il cui abbraccio può essere vitale o negativo.
Un rischio significativo è che quei meccanismi materni che hanno agito da imprinting come un sottile veleno vengano, in modo inconscio, a far parte della personalità del figlio manifestandosi al momento opportuno. Rompere questo meccanismo è però possibile, perché ognuno di noi vive un istante in cui qualcosa sollecita la domanda sul proprio significato esistenziale: perciò nessuno ha giustificazioni rispetto alla qualità della propria vita. E’ qui che si stabilisce la responsabilità individuale che pone l’ineluttabilità di una riflessione interiore, la necessità dell’arresto per interrompere i circoli viziosi e sadomasochisti. Ad ogni essere umano è data, infatti, la possibilità di intravedere almeno una volta nella vita una traccia verso cui dirigersi per riappropriarsi del proprio Sé. Ma individuarsi costa, vuol dire trovare la capacità di affrontare l’esistenza reinterpretando il proprio vissuto con occhi nuovi alla ricerca del senso profondo perché, come afferma Jung, certi travagli hanno comunque un ermeneutica dinamica anche quando, e soprattutto, eventi improvvisi ci colgono impreparati. La spinta propulsiva non è una dote innata ma è conquista, è l’aver cercato il filo di Arianna attraverso i labirinti psichici complicati e bui; è esporsi al rischio che non garantisce l’esito positivo; é continuare la domanda e la ricerca della risposta.
Molti fra coloro che sono stati i più danneggiati, fisicamente o psicologicamente, evitano la terapia o la deridono o tentano disperatamente di fermare l’analisi a dispetto dei sintomi manifesti. Tutta questa resistenza è facile da comprendere perché bisogna distruggere prima di ricostruire. Il confronto con la propria parte deprivata (l'Ombra) è obbligato. Il contenimento terapeutico può consentire quella protezione necessaria per guardare finalmente quell’angoscia legata al rifiuto originario, il proprio vuoto interiore; quel vuoto che riporta al bambino interiorizzato, al bambino in lotta per la propria vita in quel mare tempestoso e secco; al bambino negato che ha chiuso in sé la capacità di donarsi e di donare.
La coscienza del dolore è fondamentale. Il superamento parte proprio dall’accettazione della sofferenza, della conflittualità: il mettere l’alt ad un vissuto in cui si riconosce che l’Io non è alimentato dall’interno ma trova surrogati esterni di copertura. Il punto di rottura può coincidere con un atto creativo: la nascita del Sé. Dietro ogni patologia psicologica agisce un senso di colpa reale o immaginario, invischiato in un sentimento d’amore. Colpa e amore rappresentano dimensioni endopsichiche in cui il Sé è scisso. E’ il senso di colpa che nel mistero dell’Alterità fa vivere il dramma dell’abbandono che in sintesi rappresenta l’abbandono di se stessi ed è quindi un’autoaccusa, un tradimento, il fallimento rispetto al proprio impegno esistenziale. Il giocare intorno alle responsabilità altrui, per quanto oggettive, è tentare di rendere sordo quel peccato che chiede il silenzio interiore; la proiezione della colpa all’esterno è comunque sinonimo di ambiguità, di inganno, di calunnia e. soprattutto, giustificazione dell’arresto. Non a caso nella depressione c’è una mancanza di autostima. Il meccanismo psicologico correlato ad essa è il senso d’indegnità da cui l’incapacità di amare se stessi e gli altri. La colpa però rimane soffocata e continua la coazione nevrotica. Il rifiuto all’amore è rifiuto alla vita, vuoi dire non aver staccato il cordone ombelicale, continuare a responsabilizzare la madre totalmente rispetto alla degradazione del proprio Io. Ciò che ne deriva è un groviglio in cui la psiche gira a vuoto nella paura di affrontare la propria verità, ma negare il problema impedisce “1’autoresponsabilità”.
L’Ombra contiene anche il senso di colpa dovuto ad emozioni personali vissute, per cui la proiezione dell’Ombra sull’ambiente circostante continua il processo di colpa in modo più determinante perché mentre i primi sentimenti, quelli del bambino relativi alla propria madre, erano genuini e autentici, i secondi, in quanto proiettati, sono ingannevoli.
Il male fa parte del nostro inconscio al pari del bene. Ma solo chi è consapevole della sua esistenza può reagire ad esso e stabilire un momento di vera rottura iniziando un processo di individuazione alla ricerca dell’equilibrio dei contrari; nell’altra condizione invece continuerà in eterno il bluff ricattatorio. Certe lacerazioni sono indispensabili per crescere ed è proprio l’atto di umiltà che consente il contatto necessario con ciò che si ritiene essere la propria indegnità interiore. anche perché tutto ciò che è represso prima o poi trova il canale per esprimersi con violenza: chi ne viene coinvolto denuncia a sua volta un meccanismo di colpa. La complementarietà che lega due persone nel rapporto sadomasochista è significativa infatti di una proiezione reciproca pericolosa. Attraversare consapevolmente la propria dimensione negativa vuol dire aprire coscientemente la propria individualità fermando il meccanismo di cecità e di sordità tipico della razionalizzazione e della negazione, meccanismi che denunciano una paura di guardarsi allo specchio della propria anima, un attacco al proprio inconscio la cui domanda e la cui verità vengono forzatamente sepolte.
E’ proprio la percezione dell’arresto un segnale che suggerisce l’analisi, un’azione che permette di scendere nei sotterranei della propria anima per un viaggio interiore. L’ineluttabilità degli avvenimenti umani spinge infatti verso un viaggio personale molto di più dei successi. Essi diventano metri di misura della nostra sincerità e forza interiore. Quante persone si giustificano nella loro “frustrazione di nullità” (1) attivando meccanismi psicologici in cui altri ignari cadono.
L’inaccettabilità della propria colpa, del tradimento fatto a se stessi e agli altri, fa vivere però come marionette, perché la mancanza di dialogo interiore rende tutto buio. Qui non ci sono domande e risposte, non c’è ricerca perché l’Altro, la parte oscura, rimane in silenzio e impregna la realtà stravolgendo i contorni. Tutto ciò non risparmia il tormento interiore.
Analiticamente quel buio viene affrontato nella dinamica regressiva alla ricerca di una dimensione che liberi energia; rabbia e dolore scemano, le ferite dell’anima che continuano a colpire il proprio bambino interno vengono rnan mano curate dalla parte adulta crescente, l’incomunicabilità dei propri vissuti più profondi diventa domanda perché proprio la sofferenza umile è ricerca e domanda. Il ritorno alla madre significa ritornare alla matrice originaria da cui prendere vigore, pure se il mondo delle Madri porta anche il pericolo della totale inflazione dell’inconscio giacché il suo valore archetipico crea sempre una dimensione inquietante. Il mare secco dell’embrione può avere una storia generazionale che si ripete fino a che qualcuno non spezza questa coazione triste con coraggio e rispetto di sé. La ferita interna è una condizione umana anch’essa archetipica che però può portare al raggiungimento dell’illuminazione, a prendere in esame la propria vita alla ricerca anche della propria colpa. Il momento di arresto nel dolore e nell’angoscia rappresenta l’opportunità creativa data dall’inconscio e quindi la possibilità di apertura alla trasformazione.
Lo stesso Freud rifletteva quanto l’atto creativo del proprio Io fosse in stretto rapporto con la sofferenza: in una lettera a Fliess, Freud (1887-1904, pag.441) confessava all’amico di aver vinto la depressione con l’aiuto di un particolare regime intellettuale: il demone che lo divorava esigeva il sacrificio di ogni altra attività. L’interesse per la psiche era diventato il suo tiranno, ma anche il solo possibile aiuto... ‘...questa è la croce che devo portare e sa il cielo quanto la schiena mi si pieghi ‘ (2). Il terapeuta del profondo rappresenta l’intermediario tra l’lo e l’inconscio, è colui che ha già attraversato l’oscurità della psiche, ha già lottato con le forze antagoniste dell’esistenza, si è posto e continua a porsi domande, ed elabora risposte nel divenire evolutivo della propria esistenza che non risparmia nessuno ma chiede continuamente prove ed energia.
La vita a volte impone anche dei compromessi, il compromesso dell’esistenza come lo chiama Carotenuto. ma paradossalmente alcuni di questi rispondono ad un’intima necessità per il cammino verso la propria libertà. Il loro significato qui non è negativo ma dinamico. Spesso sulla nostra strada incrociamo qualcosa che mette in discussione il nostro senso morale, la nostra integrità razionale e tutto ciò spaventa, fa paura perché rappresenta la diversità, quella diversità in cui si è soli. Molti grandi personaggi della letteratura e dell’arte hanno vissuto conflittualità fortissime, si sono calati nella “Forza Oscura” (3) accettando poi compromessi significativi con se stessi, ma proprio nel continuo tentativo di equilibrare le parti distruttive con quelle creative, così che hanno prodotto capolavori che parlano dell’anima. Il compromesso esistenziale non genera il senso di colpa prima accennato perché qui c’è un individuo “in cammino” fra sentieri tortuosi che è cosciente della strada fatta e degli errori di percorso in cui è inciampato, ma che cerca di rettificare il passo alla ricerca di...
Mediare il passato con il presente può essere difficile ma l’impegno a superare comunque le avversità rettificando ciò che è possibile e la capacità di viverle come spinta propulsiva del proprio essere esistenziale, in contrapposizione al falso Sé, fa di quell’essere umano “colui che è stato chiamato”. Quel richiamo può avere momenti di infinita tristezza, di cedimento, di sbarellamento, ma non si fermerà mai più! Il falso Sé rappresenta tutto ciò che non vogliamo dirci, tutto quello che tentiamo di sopprimere perché fa male, tutto quello che sconvolge il nostro livello emozionale profondo. Ma soltanto quando l’inconscio viene in superficie, analiticamente parlando, può emergere la propria libertà, anche se inizialmente si è deboli rispetto a quanto si è- visto e a quanto si è sofferto.
Il prof. Rosario Assunto (figura tipica del Vecchio Saggio che ricordo con molto affetto durante i miei studi universitari di filosofia), correlando il pensiero di Schelling con quello di Jung, afferma che l’uomo è insieme natura e libertà, necessità e libertà. Se l’uomo pone tutto sotto la legge della natura e della necessità in senso freudiano, cioè l’esigenza di gratificazioni libidiche, non sarà mai libero perché la potenzialità energetica che rappresenta la libertà interiore non verrebbe espressa: necessità e libertà sono condizioni contrapposte e complementari e come tali possono creare l’equilibrio dell’essere. La libertà interiore, non scevra da condizionamenti del reale, è quindi la meta da raggiungere, è la possibilità di nuotare nelle acque di superficie e profonde di quel mare che può cullare finalmente, legando passato, presente e trasportando in un futuro ignoto ma eccitante e perciò dinamico. La vita vera ha sempre uno sguardo prospettico. Nel primo vagito.., nella propria interiorità...
Guardando il mare. laggiù. al di là della linea dell’orizzonte... c’è il futuro dell’esistenza!