In un mondo di esasperato culto delle apparenze c’è una preoccupante scarsità di eleganza. Si tende alla retorica, alla vanità, al narcisismo, all’esagerazione – al desiderio di “far colpo” a tutti i costi. Si vuole, troppo spesso, strafare e stradire. Non solo nell’abbigliamento (dove l’esibizione di nudità non è meno goffa e banalizzata delle vistosità nel vestire). Anche nel comportamento e nel modo di esprimersi.
L’eleganza non è appariscente. Non è un accumulo di orpelli e di esibizionismi. È stile, consapevolezza, misura. Un’equilibrata mescolanza di istintivo buon gusto e di scelte precise, di cura della sostanza e minuziosa attenzione a ogni dettaglio.
L’eleganza è cortesia. È rispetto per gli altri, attenzione al modo in cui ciò che diciamo, facciamo o mostriamo può essere percepito. Non un formale galateo, non un cerimoniale ipocrita, non un banale e passivo adeguarsi al convenzionale, ma un più profondo sentimento di civiltà.
L’eleganza non è mielosa e sdolcinata. Si può essere civili con sincera cortesia – o, quando è necessario, con misurata durezza. L’eleganza non è falsa e bugiarda. Non è una crosta di apparenze che nasconde l’ambiguità e l’inganno.
L’eleganza è sobria – e la sobrietà è elegante. L’una e l’altra sono piacevoli, gradevoli, confortanti. Non solo più umane e funzionali, ma anche più belle. Possono essere, quando è il caso, seducenti – anche maliziose. C’è più fascino nella semplicità che in ogni sfacciata esibizione.
L’ironia è elegante, l’umorismo è gradevole, ma molta della comicità che ci circonda è grossolana, stupida, petulante e volgare (per non parlare dell’involontaria ridicolaggine di chi si prende troppo sul serio).
La sobrietà non è sacrificio, rinuncia, pauperismo. È la capacità di scegliere ciò che serve (anche da un punto di vista estetico) e ciò che invece non solo è inutile, ma spesso è ingombrante e fastidioso.
L’eleganza è saper sorridere, anche ridere, quando ce n’è un motivo – ma non perdersi in salamelecchi noiosi, ambigui e irritanti.
Una cosa scritta bene è elegante. Non solo quando è un’opera letteraria. Anche un biglietto del tram o un segnale stradale possono essere eleganti quando sono ben fatti, funzionali ed esteticamente gradevoli. Ogni piccolo dettaglio ben curato per la sua utilità e presentato in modo elegante può contribuire a rendere più gradevole l’ambiente in cui viviamo.
C’è chi pensa che l’eleganza sia un dono, un talento innato. In parte può essere vero. Ci sono persone che sanno muoversi, esprimersi, comunicare meglio di altre. Ma nessuno è condannato a essere volgare, ingombrante e fastidioso. E nessuno si può fidare solo dell’istinto. L’eleganza, la semplicità, la sobrietà sono arti che possiamo apprendere e coltivare. E vale la pena di farlo. Non solo per renderci più gradevoli agli altri, ma anche per sentirci meglio con noi stessi.
Stiamo vivendo in un’epoca che offre troppo spazio alla volgarità, all’esagerazione, all’ineleganza, al culto sviscerato e stupido delle apparenze. Il mito esagerato dell’abbondanza non è solo il rischio di soffrire quando se ne incontrano gli inevitabili limiti (chi potrebbe vivere bene con cinque vestiti soffre se ne ha venti, ma ne vorrebbe cinquanta – e lo stesso concetto si può applicare a qualsiasi altra cosa, materiale o immateriale). È anche la quotidiana sofferenza di dover cercare, subire, avere, esibire, vedere, toccare, maneggiare (e fingere di ammirare) un’infinità di ammenicoli e di ingombri fastidiosi quanto inutili.
Con una giusta dose di sobrietà, e un piacevole tocco di eleganza, possiamo non solo semplificarci la vita, ma anche renderla molto più gradevole (a noi e agli altri).
Si tratta anche, ovviamente, del modo di esprimersi. Proviamo, quando parliamo o scriviamo, a evitare i manierismi e le frasi fatte. A usare qualche parola in meno. A trovare un’espressione chiara al posto di un termine gergale o inutilmente astruso. A cercare una costruzione semplice, pulita ed efficace. Saremo più sobri e più eleganti. E avremo molte più probabilità di essere ascoltati e capiti.
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